• Il rumore del silenzio

    Dal tempi del Friuli in poi, se chiedo a qualcuno che è stato testimone di un terremoto qual è la cosa che lo ha spaventato di più, due volte su tre mi dice: il rumore. La cosa che invece ha letteralmente terrorizzato me è stato il silenzio. L’ho conosciuto a L’Aquila già il primo giorno in cui abbiamo iniziato i sopralluoghi per girare “Non chiamarmi Terremoto”. Camminavamo per il centro storico abbandonato, cristallizzato in un’istante che sembrava eterno, come nel mondo della Bella Addormentata che guardavo da piccola nei volumi delle Fiabe Sonore. Dove passa il terremoto c’è un silenzio che fa male alle orecchie, perché non è il silenzio bello, che ti sei meritato dopo una giornata impegnativa, quando affondi fino alle orecchie nella vasca da bagno come un ippopotamo. E’ piuttosto un silenzio da vecchi set di film western abbandonati. Pieni di fantasmi, di frasi lasciate a metà, di gesti che nessuno porterà a termine. Arrivando a Crevalcore, poco più di un mese dopo la scossa più forte, ho provato la stessa paurosa emozione. Giravo per un corso solitario, sospeso nel nulla, sorretto da stampelle di legno e cinghie, afflitto dalla stessa rumorosissima assenza di suoni, voci, parole, vita quotidiana. Ho pensato che per un regista, provare le stesse paure dei personaggi che ha inventato, è un incubo vero! Per questo il sollievo è grande quando le strade vuote, i negozi, i portoni si riempiono di colori, disegni, plastici. Oggetti che riportano alla vita, che attirano persone ancora troppo spaventate per riappropriarsi delle strade in passato a lungo calpestate… I colori chiassosi di un cartoncino, le molle sbilenche sotto al modellino di una casa, le invenzioni antisismiche dei più piccoli… La funzione terapeutica del lavoro di rielaborazione di bambini e ragazzi si allarga a macchia d’olio su tutta la comunità. Rimette in forze, dà un po’ di coraggio. É vero, funziona proprio così. L’ho già visto accadere. Accade in questi giorni a San Felice, Sant’Agostino, Crevalcore…

    Beba Gabanelli

  • Con gli occhi dei bambini

    Il perché di una “ricostruzione fantastica” raccontato da Flaminia Brasini e Delia Modonesi di ConUnGioco onlus, che hanno immaginato il percorso della mostra dalla progettazione all’esposizione. O meglio, che questo modello hanno il merito di averlo inventato.

    LAVORARE NELLA RICOSTRUZIONE
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    ConUnGioco lavora da molto tempo nel progetto Edurisk, che da dodici anni INGV, DPC e altri ancora propongono alle scuole di tutta Italia, facendo educazione al rischio con mostre attive, laboratori, pubblicazioni, interventi di vario tipo. Abbiamo la fortuna di lavorare quasi sempre “in tempo di pace”, per prevenire e preparare: un privilegio che in Italia spetta a pochi, mentre dovrebbe essere la normalità! Nel nostro paese si lavora soprattutto (spesso anche bene) in emergenza, ma ci si cura pochissimo del prima e altrettanto poco del dopo. L’esperienza con bambini/e e ragazzi/e sul tema del terremoto ci ha invece convinte di una cosa: la prevenzione è fondamentale (e questo è facile intuirlo, se solo si ragiona fuori da interessi personali e in una prospettiva temporale non del tutto miope) ma altrettanto fondamentale è il lavoro nel momento della ricostruzione e del ritorno alla normalità.

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    Nella fase della ricostruzione si definisce la capacità delle persone di assorbire, elaborare e integrare l’esperienza del terremoto nella propria vita. Dopo il trauma ci si inizia a confrontare quotidianamente con il cambiamento avvenuto e si riorganizza il proprio vissuto, il rapporto con il proprio territorio e con gli altri, sulla base di questa nuova e fortissima esperienza. Se il processo di elaborazione e ritorno alla normalità funziona “bene”, se la ricostruzione tiene conto delle persone, dei/delle bambini/e, dei desideri, dei bisogni, il terremoto lascerà un certo tipo di tracce, altrimenti ne lascerà altre, molto più pesanti. Per questo ci sembrava fondamentale offrire a una cittadinanza che aveva da poco vissuto un terremoto la possibilità di partecipare alla ricostruzione, di mettere in campo energie e visioni del futuro,in maniera giocosa e fantastica.

    PERCHÈ PARTIRE DAI BAMBINI
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    “Facciamo noi! Una ricostruzione fantastica” nasce quindi dalla volontà di creare intorno all’anniversario del terremoto un’occasione per dare ai bambini il diritto di prendere la parola e colorare la città con le loro idee sul terremoto e sulla ricostruzione.
    Perché i bambini? Perché guardano le cose con altri occhi e ci insegnano come fare. I bambini reagiscono meglio e prima alla trasformazione, elaborano più in fretta, hanno accesso più facile alla fantasia che trasforma la realtà e ti fa protagonista della tua storia. Il progetto ha coinvolto bambini/e e ragazzi/e in un percorso di conoscenza del terremoto, di riflessione sul territorio, di elaborazione di una ricostruzione fantastica e vitale: sono state progettate e costruite macchine contro il terremoto, case dei desideri, nuovi oggetti per popolare le strade e le piazze delle città coinvolte. Inventare nuove case, immaginare il futuro, desiderare e costruire nuove città e nuove tecnologie sono stati esercizi di fantasia che i bambini hanno svolto con entusiasmo, contagiando presto gli adulti intorno a loro, perché nel delicato processo di ricostruzione ognuno ha il suo vissuto, le sue idee, sue risorse e bisogni e il diritto di esprimerli. Partire dai bambini quindi per arrivare a tutti.
    Accanto ai bambini da subito ci sono stati insegnanti, genitori, ragazzi più grandi, negozianti, amministrazioni e cittadini che hanno riconosciuto la necessità di dare spazio alla fantasia.

    ricostruzione
    In piena ricostruzione, quando solidità e concretezza appaiono gli unici valori che contano questo progetto ha fatto sperimentare e comprendere a molti adulti l’importanza vitale della fantasia, del rispetto dell’identità, del bisogno di bellezza.
    La sicurezza, il ritorno alla “normalità” (che non potrà mai più essere la stessa) sono fondamentali ma uguale valore va riconosciuto ai desideri, ai progetti, ai bisogni emotivi sia dei piccoli che dei grandi, che troppo spesso se li negano.
    I bambini hanno raccolto, con la disponibilità ad inventare soluzioni e proposte fantastiche, il bisogno inespresso degli adulti di elaborare quest’esperienza; chiedendo agli adulti il loro aiuto hanno dato loro una chiave con cui i grandi hanno riconosciuto il loro diritto alle emozioni. Così gli adulti si sono messi a servizio dei bambini, dedicando il loro tempo e le loro abilità. Ragazzi più grandi, alunni di un istituto tecnico, hanno aiutato a realizzare le invenzioni anti-terremoto ideate dai bambini ferraresi, verificandone e valorizzandone il significato, la concretezza e la fattibilità.
    Tutti gli insegnanti hanno dedicato tempo e passione e hanno colto l’opportunità di vivere questo progetto per riconoscere nei bambini, come in loro stessi, il profondo bisogno di rispettare le emozioni. Genitori, negozianti, cittadini, hanno contribuito fattivamente dando una mano concreta a realizzare il progetto, diffonderlo e renderlo significativo per tutta la comunità.

    LA CITTADINANZA
    Il progetto si è sviluppato nelle scuole, per arrivare in strada, nei luoghi frequentati da tutti, in modo che l’intera cittadinanza potesse “incontrare”, magari per caso, i desideri e le proposte dei/delle bambini/e. Fin da subito abbiamo pensato ad una mostra diffusa: un allestimento che occupasse le vie e le piazze, i negozi e gli uffici, delle città coinvolte; fare una mostra diffusa vuol dire portare l’immaginario dei bambini per le strade e dare la possibilità a tutti di confrontarcisi.

    E per ora l’idea sta funzionando.

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  • La mostra

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    La mostra diffusa “Facciamo noi! Una ricostruzione fantastica. Bambini e ragazzi contro il terremoto” è il punto di arrivo di un’originale esperienza formativa realizzata nel corso dell’anno scolastico 2012-2013 in diverse realtà colpite dai terremoti del maggio 2012.

    Questo percorso è stato reso possibile dalla collaborazione fra il progetto Edurisk, promosso dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e dal Dipartimento della Protezione Civile, e gli Istituti Comprensivi di Crevalcore (BO), San Felice sul Panaro (MO) e Sant’Agostino (FE), e cui si è aggiunto un percorso già avviato nel 2011 con l’IIS G.B. Aleotti e l’Istituto San Vincenzo di Ferrara.

    Il percorso sviluppato è costituito da incontri informativi per il personale scolastico (e in qualche caso per le famiglie), formazione degli insegnanti e da attività laboratoriali nelle classi che hanno aderito al progetto.
    Le attività sviluppate nelle classi hanno utilizzato tecniche di stimolazione della fantasia, senza perdere di vista un approccio realistico: i bambini della scuola primaria, in particolare, hanno elaborato materiali grafici, testuali e soprattutto modelli di strumenti e macchine di fantasia progettate per difendersi dai terremoti, mentre i più grandi (scuola secondaria) hanno realizzato postazioni interattive di carattere scientifico, sperimentando azioni di educazione fra pari.

    I temi sviluppati sono stati estremamente vari, ma l’obiettivo di fondo è stato quello di elaborare insieme l’esperienza vissuta, senza porre limiti alla fantasia, immaginando una ricostruzione più bella e sicura. La mostra diffusa viene allestita in oltre un centinaio di spazi pubblici e privati dei quattro comuni coinvolti nel progetto, interagendo con i luoghi vissuti quotidianamente dalle persone e sollecitandone una esplorazione libera.

    Il visitatore viene invitato a esplorare l’intero percorso e a lasciare traccia della propria esperienza, dei pensieri e delle emozioni suscitate dall’interazione con gli elaborati, gli oggetti e le invenzioni realizzate da bambini e ragazzi.

     

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