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Una scuola per sentirsi sicuri
Angela Cavallini insegna nella scuola primaria di San Felice sul Panaro. Con i suoi alunni, all’inizio dell’anno, ha ricominciato in una scuola costruita con tutti i criteri antisismici. Ecco la sua ricetta per sentirsi più sicuri.
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Il prima e il dopo
Le mostre non nascono dal nulla. Le storie non si raccontano da sole. Hanno bisogno di solide basi, le quali affondano con un piede nell’immaginazione e con l’altro nella progettazione. Il racconto della nascita di “Facciamo noi!” ce lo fa Alessandra Pederzoli, una delle insegnanti della scuola primaria di Dosso di Sant’Agostino che ha aderito al progetto.
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Il rumore del silenzio
Dal tempi del Friuli in poi, se chiedo a qualcuno che è stato testimone di un terremoto qual è la cosa che lo ha spaventato di più, due volte su tre mi dice: il rumore. La cosa che invece ha letteralmente terrorizzato me è stato il silenzio. L’ho conosciuto a L’Aquila già il primo giorno in cui abbiamo iniziato i sopralluoghi per girare “Non chiamarmi Terremoto”. Camminavamo per il centro storico abbandonato, cristallizzato in un’istante che sembrava eterno, come nel mondo della Bella Addormentata che guardavo da piccola nei volumi delle Fiabe Sonore. Dove passa il terremoto c’è un silenzio che fa male alle orecchie, perché non è il silenzio bello, che ti sei meritato dopo una giornata impegnativa, quando affondi fino alle orecchie nella vasca da bagno come un ippopotamo. E’ piuttosto un silenzio da vecchi set di film western abbandonati. Pieni di fantasmi, di frasi lasciate a metà, di gesti che nessuno porterà a termine. Arrivando a Crevalcore, poco più di un mese dopo la scossa più forte, ho provato la stessa paurosa emozione. Giravo per un corso solitario, sospeso nel nulla, sorretto da stampelle di legno e cinghie, afflitto dalla stessa rumorosissima assenza di suoni, voci, parole, vita quotidiana. Ho pensato che per un regista, provare le stesse paure dei personaggi che ha inventato, è un incubo vero! Per questo il sollievo è grande quando le strade vuote, i negozi, i portoni si riempiono di colori, disegni, plastici. Oggetti che riportano alla vita, che attirano persone ancora troppo spaventate per riappropriarsi delle strade in passato a lungo calpestate… I colori chiassosi di un cartoncino, le molle sbilenche sotto al modellino di una casa, le invenzioni antisismiche dei più piccoli… La funzione terapeutica del lavoro di rielaborazione di bambini e ragazzi si allarga a macchia d’olio su tutta la comunità. Rimette in forze, dà un po’ di coraggio. É vero, funziona proprio così. L’ho già visto accadere. Accade in questi giorni a San Felice, Sant’Agostino, Crevalcore…
Beba Gabanelli
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È solo una fiaba? Invece è realtà.
Gli alunni e le alunne della classe seconda D della scuola primaria L.A. Muratori di San Felice sul Panaro, con l’insegnante Angela Cavallini, il terremoto l’hanno rielaborato così.
Una mattina ci siamo svegliati e… tutto è cambiato!?!
All’improvviso… un tremore, un boato, uno scossone, due, tre. Voci lontane… Voci vicine…Aiuto! Cosa sta succedendo! Il terremoto! Dove sei? Non ci vedo! Mamma, papà dove siete? Svegliati! C’è il terremoto! Mettiti sotto all’architrave! Mettiti sotto all’arco del soggiorno! Ho paura! Un’altra scossa! Svelti usciamo! Aspetta ancora! E’ tutto a terra! Attento ai vetri, ti puoi tagliare! L’armadio è caduto! Sono sotto al letto! Il mio letto si è spostato! Sono caduto dal letto! Vieni fuori! Presto scendiamo! Attento agli scalini! Metti un cuscino sulla testa! Attento ai calcinacci! Attento ai comignoli! Ci siamo tutti? Dov’è il cane? È scappato. Guarda, la casa trema! Senti quante scosse? Ho freddo! Ho paura! E i nonni? Il telefono non prende! Non ho preso la chiave dell’auto! Non ci vedo, ho lasciato in casa gli occhiali! Le mie medicine! Corri a vedere se la nonna sta bene! Che disastro! È crollata la rocca! È crollata la chiesa! Il centro è coperto da un gran polverone!
Elisabetta: è cambiato il nostro paese.
Vlad: sono cambiate tutte le case.
Veronica: la rocca è crollata, solo una torre è rimasta su.
Ludovica: tutta la gente è cambiata.
Samuele: le nostre case non sono come prima.
Daniele: le scuole sono cambiate.
Nicola: il colore delle auto è cambiato.
Kabir: è cambiato tutto.
Luca: si scuoteva la terra.
Gabriele: ci sono state tante scosse.
Samuele: siamo usciti dalle case.
Laura: tutti urlavano.
Eleonora: una persona si è buttata dal balcone.
Alex: alcune persone sono scappate via.
Sofia: è scoppiato l’acquario di mia zia.
Sophia: è andata via la luce.
Giuseppe: ho sentito tremare il letto.
Kabir: si sono rotti i piatti e i bicchieri.
Yassin: c’erano le crepe sulle scale.
Ludovica: cadevano i quadri.
Giuseppe: cadevano i libri.
Laura: abbiamo avuto paura.
Veronica: Le televisioni si sono rotte.
Vlad: i mobili della cucina sono caduti.
Sofia: si è rotto l’armadio.
Luca: alcune persone hanno cercato un’altra casa.
Gabriela: i mobili ci cadevano addosso.
Luz: i vasi dei fiori si sono rotti.
Gabriele: solo alcuni hanno fatto in tempo a vestirsi.
Vlad: altri erano in mutande.
Eleonora: alcuni vicini sono venuti a dormire in macchina con noi.
Luca: le persone sono tornate in casa per prendere il necessario.
Giuseppe: la sera prima si era sentita una scossa.
Eleonora: io avevo sentito una scossa prima e dormivo giù.
La nostra mente va indietro nel tempo. Avevamo una bella rocca, con un parco dove i bambini si divertivano a giocare. Avevamo la chiesa, una bella scuola, il teatro, tanti negozi nel centro.
Poi le persone hanno comprato le tende, le roulotte, i camper, i container, le casette di legno. Alcuni sono scappati al mare, in montagna, altri hanno cambiato casa e sono andati in città a Ferrara, a Milano, a Bologna. Altri ancora sono tornati in Marocco, in Polonia.
Il mio papà è andato ad aiutare nel campo della Protezione Civile della Toscana.
Abbiamo dormito in auto con un vetro rotto. I miei vicini sono andati in Francia perchè avevano paura. Alcuni animali sono morti, altri sono scappati. Io sono andata via con i miei animali.
I nonni volevano rimanere nelle loro case. Ci siamo accorti che alcune case sono crollate. Una casa si è spaccata a metà. Il capannone di mio zio è crollato. Nelle scuole ci sono venute molte crepe.
Dopo alcuni mesi siamo tornati a scuola e ci siamo ritrovati. Kabir è tornato in marzo perchè era andato in un albergo a Ferrara.
Ora siamo in una scuola nuova, antisismica, con delle aule piccole ma sicure, abbiamo le lavagne multimediali in tutte le classi e sta crescendo un bel prato intorno alla scuola.
Stiamo bene.
Abbiamo conosciuto nuovi amici che ci scrivono le letterine da scuole lontane e di altre regioni.
Tra poco ci costruiranno una palestra, una mensa, delle aule nuove e grandi, e… finalmente andremo in gita al Parco Esploraria!
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Terremoto: istruzioni per l’uso
“Ci sono già passato. So come si deve fare, anche se non è facile. So cosa provi, come ti cambia. Non ti giudico se hai paura, ti capisco. Non mi viene da ridere se, nel cuore della notte, salti già dal letto e ti butti sotto il tavolo.”
Non è quello che esce dalle bocche. Ma dagli sguardi.
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Il metodo
Alessandra Pederzoli è una delle insegnanti della scuola primaria di Dosso di Sant’Agostino che ha aderito al progetto della mostra diffusa “Facciamo noi!”. E quel che racconta è il metodo utilizzato per realizzarla. Il lavoro ha coinvolto ragazzi, insegnanti, personale non docente per l’intero anno scolastico.
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Imparo mentre insegno, insegno mentre imparo
Ci sono due cose interessanti in questa modalità di lavoro. La prima è la sensazione di sicurezza che dà ai ragazzi l’idea di poter dominare la paura attraverso la conoscenza.
Capisco, sperimento, imparo mentre insegno, insegno mentre imparo, mi metto alla prova… e tutto questo mi dà la sensazione che mai, se dovessi incontrare nuovamente un terremoto, mi troverei così impreparato e spaventato…
E poi è interessante l’esatto contrario: la lieve insicurezza che hanno negli occhi i ragazzi, e quel misto di soddisfazione e disagio davanti a una prova piuttosto inedita. Stare dall’altra parte, dalla parte dei professori, o essere guidati da insoliti maestri, che potrebbero essere fratelli maggiori.
Non è così facile ottenere l’attenzione, suscitare l’interesse, spiegare quel che si sa. E nemmeno formulare le domande senza vergognarsi di apparire sciocchi, far vedere che si è compreso, dimostrarsi all’altezza delle aspettative…
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Ci voleva il terremoto?
Quando la scuola si mette in gioco così profondamente tutto sembra assumere un altro significato, e va riconsiderato in una nuova ottica: i professori e i ragazzi, le strutture scolastiche, le pure nozioni e l’intera didattica. Tutto frulla, come col terremoto, ma questa volta per tornare a posto poco dopo, in un ordine più comprensibile e giusto. Non è forse quello che dovrebbe fare sempre un sistema educativo? E ci voleva proprio il terremoto per rendere possibile questo piccolo rimescolio di ruoli, percezioni, possibilità?
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Un passo indietro
Prima del terremoto in Emilia c’è stato quello, devastante, di L’Aquila. Siamo un Paese che non si fa mancare nulla. Già mesi prima delle scosse del 6 aprile 2009, in alcune scuole medie della città abruzzese, visto l’elevato rischio sismico dell’area, era partito il progetto Edurisk sulla prevenzione dei danni associati al terremoto. Edurisk è nato dalla volontà e dall’esperienza della sezione bolognese dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Con la collaborazione di formicablu, agenzia di comunicazione scientifica, sono stati realizzati anche una docufiction, un video tutorial e due blog. Il primo è frutto di un laboratorio di radio/podcast realizzato a L’Aquila nella scuola media Dante Alighieri. Il secondo è questo. Accanto, dentro e intorno a tutto questo, già dal 2007 c’è la progettazione e la realizzazione di una mostra fatta dai ragazzi delle scuole che aderiscono a Edurisk, per spiegare a insegnanti, genitori e amici cos’è un terremoto, che danni fa, come si può evitare il peggio. Di solito funziona.